Come si giocava negli anni '60

 

Giocavamo con poco, ma non ci mancava nulla 


U nataledu (Il dado)

 

U Nataledu è un osso di animale che aveva quasi la forma di un dado e quindi si giocava a mò di dado. Un giocatore lo lanciava e prima di lanciarlo, si sceglieva una parte del nataledu (dado), la parte che uno decideva, se usciva vinceva (come testa o croce).

U piroci (La trottola)

 

U Piroci è come una trottola di legno, all’estremità della parte fina c’è inserito un pezzo di chiodo che fa da punta per girare su di esso. Si prendeva una cordicella e si arrotolava sulla pancia della trottola, poi si lanciava tenendola per lo spago e dando un eccezionale colpo di polso prima che la trottola lasciasse lo spago.e mentre girava si faceva salire sul palmo della mano, e lo si faceva girare su di essa. Più si era bravi tecnicamente, più la trottola girava, girava, girava.

Lippa (U surici)

 

Servono due pezzi di legno. Uno più robusto ricavabile anche dal manico di una scopa. Il pezzo deve avere una lunghezza di 30-35 centimetri e sarà il bastone o manganello. L'altro più piccolo è detto surici (lippa), deve essere lungo una decina di centimetri e avere due punte alle estremità. Si formano due squadre di giocatori e si stabilisce quale dovrà battere per prima. Quindi si traccia in terra un segno e a metà vi si colloca un grosso sasso chiamato 'la madre'. Tutti i componenti della squadra che si trova in battuta si devono sistemare dietro il segno tracciato. A cinque passi dalla madre, dalla parte in cui si deve disporre la squadra avversaria, si deve tracciare un altro segno che delimiterà l'area di rigore.Tracciato il campo di gioco si può iniziare a giocare. La squadra destinata a battere deve designare il suo primo battitore. Servendosi del manganello dovrà lanciare la lippa il più lontano possibile in direzione della squadra avversaria, la quale si disporrà in modo da poter prendere la lippa al volo. Il battitore deve fare in modo che nel tirare la lippa nessuno della squadra avversaria possa prenderla.Se un avversario riesce a prendere la lippa al volo, dovrà tracciare con questa un segno per terra. Il battitore viene eliminato e dovrà cedere il posto ad un altro elemento della sua squadra. Se invece la lippa non viene presa al volo da nessun avversario, verrà raccolta da uno della squadra avversaria che la dovrà tirare verso il battitore che verrà eliminato se la lippa colpisce il sasso 'la madre'. Il battitore però farà di tutto per non essere eliminato e con il manganello cercherà di colpire al volo la lippa per rilanciarla lontano senza farsela prendere dagli avversari. Se questo gli riesce o se la lippa lanciata dagli avversari non avrà colpito la madre, il battitore può fare dei punti. Ecco come: con il manganello colpirà la lippa su una delle punte per farla sollevare da terra e poi, colpendola al volo, la manderà il più lontano possibile. Può non essere facile colpirla al volo, soprattutto per chi ancora non ha esperienza, quindi è possibile tentare il colpo fino a tre volte per farla passare oltre la linea di rigore. Quindi il battitore dovrà calcolare approssimativamente la distanza, in manganelli e non in metri, che intercorre tra u surici (lippa) e la madre. Se il battitore dice una cifra esagerata, la squadra avversaria potrà verificarla servendosi del manganello. Fatto il controllo si ha che se la cifra detta dal battitore è superiore alla distanza effettiva misurata, verrà eliminato; se invece è inferiore, i punti sono validi e il battitore potrà ricominciare di nuovo a battere la lippa fino a che non verrà eliminato. Se nel ribattere la lippa il battitore non riesce, nonostante le tre possibilità che ha a disposizione, a farle oltrepassare la linea di rigore, gli avversari, da questa linea, hanno diritto di tirare la lippa cercando di colpire il manganello che verrà fatto pendere dal battitore sopra la madre; se lo colpiscono, il battitore viene eliminato. Se lo sbagliano, il battitore riprende la battuta. Se un giocatore che appartiene alla squadra che sta battendo oltrepassa il segno della madre, entrando così nell'area di rigore, e un avversario gli lancia addosso la lippa colpendolo, il giocatore viene eliminato per sempre dal gioco.
Obbligo per il battitore: ad ogni battuta deve gridare il punteggio della propria squadra. Se si dimentica, la sua squadra torna a zero. Se per errore grida un punteggio inferiore a quello reale, la sua squadra prende il punteggio dichiarato. Se dichiara un punteggio maggiore, viene eliminato dalla battuta. Quando tutti i battitori sono stati eliminati, le due squadre cambieranno posto e il gioco si inverte: la squadra che stava alla presa passa alla battuta e viceversa. Chi sta alla battuta dovrà cercare di battere il punteggio già fatto dagli avversari. Vince la squdra che raggiungerà per prima il punteggio stabilito.

A Singa (La linea)

 

La linea è una riga che si disegnava per terra. I giocatori dovevano mandare le monete più vicino possibile alla linea. Chi raggiungeva questo obbiettivo, prendeva tutte le monete lanciate in prossimità della linea, e le sistemava sul palmo della mano, un po’ di testa e un po’ di croce; poi, decideva se vincere con la testa o con la croce. A questo punto le lanciava in alto facendole roteare, e quando erano per terra, vinceva tutte quelle che aveva scelto in precedenza. Quelle che rimanevano, venivano lanciate in alto dal giocatore successivo (quello che si era avvicinato di più alla linea, dopo il vincitore), e via di seguito.

A cometa (L'aquilone)

 

Nei paesi i ragazzi si costruivano da soli il proprio aquilone. Erano necessari due bastoncini incrociati, che si potevano ricavare dalla canna palustre (cannuccia di palude) oppure dai gambi secchi delle ortiche. Dopo averli fissati solidamente al centro, si ricoprivano con un foglio di carta velina leggerissima o una pagina di giornale. Il tutto veniva tenuto insieme da una colla preparata con un impasto di farina bianca ed acqua, opportunamente diluito. All’aquilone si appendevano delle lunghe code, fatte con anelli di carta. La guida dell’aquilone avviene mediante un lungo filo, ricavato dai gomitoli di cotone che solitamente si trovavano in casa. L’abilità del costruttore stava nel dare il giusto equilibrio all’aquilone, bilanciandolo tra la testa e la coda, in modo che potesse prendere agilmente il volo e salire sempre più in alto, fino quasi a scomparire in cielo. Nei paesi rivieraschi i bambini e ragazzi facevano volare i lori aquiloni dalla sommità delle arginature del fiume.

A musca ceca (A mosca cieca)

 

La mosca cieca è un tradizionale gioco da bambini diffuso in molti paesi del mondo. Lo si gioca all'aperto o in una stanza abbastanza grande vuota. Un giocatore scelto a sorte viene bendato e diventa quindi la "mosca cieca", e deve riuscire a toccare gli altri, che possono muoversi liberamente all'intorno.

Nella variante più comune, se la "mosca" tocca un giocatore, quest’ultimo prende il suo posto. Alcune varianti prevedono che la "mosca" debba riconoscere il giocatore catturato (senza togliersi la benda) affinché la cattura abbia effetto.

A fionda

 

Uno dei giochi maschili per eccellenza era la fionda. Tutti, o quasi, i bambini si costruivano una fionda, per cacciare uccelli o per tiri di precisione. Veniva utilizzato un ramo biforcuto . Due elastici, ricavati dalle camere d'aria delle ruote delle biciclette venivano ben legati ai bracci della fionda e ad un pezzetto di pelle che si ricavava da scarpe o borse in disuso.

U scupidù

 

Andava di modo tra bambini e ragazzi negli anni sessanta. Lo scupidù è un semplice intreccio a sezione quadrata o arrotondata che si realizza con due cordini, generalmente di diverso colore. Si usava un cavo sottile in nylon o canapa di uso marino, ma poteva essere fatto con altro materiale tipo spago, cordino in plastica delle sedie, cavi elettrici (specie quelli telefonici bianchi e rossi che all’epoca non era raro trovare in spezzoni di avanzo gettati via dai tecnici). Servivano a qualcosa? Ovviamente a niente se non a adornare in perfetto stile kitch i moschettoni usati come portachiavi o le cartelle scolastiche.

A mmucciateda (A noscondiglio)

 

Noto anche come "Rimpiattino" è un gioco fatto di niente ma col quale ci si divertiva in un modo incredibile. Scelta la cosiddetta "tana" (un tronco d'albero, la porta di una casa, un'automobile, ecc.) si designava chi doveva "stare sotto" tramite la "conta", ossia una filastrocca che si concludeva per lo più con una frase del tipo "tocca a te!". Il prescelto doveva poi contare ad occhi chiusi fino ad un numero concordato tutti insieme (30, 40, 50anche 100, anche di più) mentre gli altri partecipanti al gioco andavano a nascondersi. Una volta concluso di contare, chi "stava sotto" iniziava a cercare i compagni di gioco. Avvistatone uno doveva gridarne il nome (a volte anche toccarlo) e correre fulmineamente verso la "tana" insieme al giocatore appena scoperto. Il primo dei due che raggiungeva la "tana" doveva toccarla e gridare a squarciagola "tana!".

Di conseguenza il meno veloce dei due doveva "stare sotto" a sua volta e riprendere la caccia ai giocatori nascosti. Chi riusciva a raggiungere la "tana" con successo poteva così gustarsi il resto del gioco da puro spettatore. L'obiettivo dei giocatori nascosti era di cercare di lasciare i rifugi senza essere visti o toccati e di raggiungere il punto di tana gridando "tana" per liberare sé stessi, oppure il favoloso "tana liberi tutti". Ogni mano si concludeva quando tutti i giocatori erano stati scoperti e ne restava uno "sotto", non necessariamente quello che era stato designato inizialmente con la conta.

L’ arcu

 

L’arco è senz’altro una delle armi più antiche e leggendarie. I ragazzi se lo costruivano da soli usando materiale semplice, bastava un pezzo di legno flessibile (salice o sanguinella) curvato ed uno spago. Come frecce venivano spesso usati i ferri che compongono il telaio di un vecchio ombrello non più utilizzabile. L’uso dell’arco era prevalentemente finalizzato a gare di precisione.

A battimuru

 

Quando i mezzi erano pochi, la voglia di gioco tanta si cercava un buon muro, qualche giocatore volenteroso, un pò di monetine e si dava via alla gara. Il gioco consisteva nel lanciare accortamente le monete cercando il rimbalzo su un muro e l’avvicinamento quanto più possibile accurato ad altre monete così da conquistarle a loro volta. Il tutto fra accese discussioni e "paroloni" fra i giocatori che si disputavano le misurazioni fra le monete. Si vincevano le monete avversarie solo se erano nel raggio di un palmo.

U cerchiu (Il cerchio)

 

Altro gioco, praticamente estinto, che con semplicissimi e scarni mezzi dava divertimento e svago a chi lo praticava. Si trattava di uno passatempo che si poteva eseguire da soli o in compagnia. Con un vecchio cerchio metallico di una botte "andata in pensione" o con qualche cerchione di bicicletta arrugginita la semplicità della "ruota" diventava gioco e divertimento. Chi si voleva dilettare cercava di far rimanere in equilibrio il cerchio aiutandolo a correre con un bastoncino di ferro o di legno e questo non senza incursioni fra la gente e corse fra ragazzi vocianti. Quel semplice roteare diventava abilità che si faceva divertimento …

A ciappula (La piastrella)

 

Fino agli anni ‘60, era tradizione, per la maggior parte dei ragazzini, dei vari quartieri e rioni della città o paese giocare con la cosiddetta “ciappula”. Era un gioco semplice e senza grosse pretese, preferito soprattutto dai maschietti, per il quale erano necessarie una buona coordinazione, un po’ di forza ed impegno, e, naturalmente, “a ciappula”.

Questa era costituita da una pietra appiattita e rotondeggiante, oppure da pezzi di marmo o, ancora, da piastrelle tipiche dei pavimenti. Ci si riuniva in gruppo su uno spiazzo del cortile, in strada o sui marciapiedi, poi, con l’aiuto di tutti, si tracciavano nel terreno due linee orizzontali distanti l’una dall’altra.

La prima costituiva la base del lancio delle ciappule, la seconda quella di arrivo. Così, una volta segnato il campo da gioco si faceva il “tocco”, cioè la conta con le dita per designare il giocatore che aveva diritto a tirare il primo colpo, che, tra l’altro, nel gioco della ciappula era il più penalizzato. Doveva, infatti, lanciare la propria ciappula, avvicinandosi il più possibile alla linea d’arrivo senza sorpassarla, altrimenti veniva escluso dal gioco. Gli altri, invece, tirando la loro ciappula, dovevano solo avvicinarsi a quella dei compagni. Vinceva chi riusciva a lanciare la ciappula ad un palmo di distanza da quella del compagno, sempre, ovviamente, entro la linea di demarcazione stabilita.

Una variante era quella di collocare per terra un certo numero di figurine di calciatori (vicino alla seconda riga) che ogni giocatore, lanciando la propria ciappula, da una distanza di quattro o cinque metri, doveva cercare di colpire e coprire con la stessa ciappula. Vinceva chi riusciva ad ottenere il risultato o ad arrivare più vicino degli altri alle figurine, ed il premio erano le stesse figurine.

  A simana (La settimana)

 

Dopo aver disegnato in terra un grande rettangolo contenente 8 quadrati numerati dall’uno all’otto ed iniziando dalla parte destra, ciascun partecipante si procurava una pezzo di piastrella e dopo la conta, iniziava il gioco. Veniva tirato il sasso nella casella numero uno e saltellando su una gamba, bisognava recuperarlo e lanciarlo nella casella successiva per poi ripetere l’operazione sino all’ultima casella. Vinceva chi riusciva a restare il maggior tempo possibile in piedi o chi non gettava il sasso fuori dalle caselle.

I vivi e i morti

 

I partecipanti si procuravano pezzi di piastrelle che venivano poste in senso verticale. Ciascuna piastrella rappresentava un giocatore, e la sua posizione verticale rappresentava l’essere in vita. Attribuita ciascuna piastrella ad un giocatore, a turno i singoli partecipanti, da una distanza di 10 metri, dovevano colpire le piastrelle con un sassolino cercando di farli cadere e quindi di eliminare il resto dei giocatori. Vinceva chi buttava tutti gli avversari.

Cchiappateda  

 

Un giocatore si pone al centro e tutti gli altri si collocano intorno. Al via tutti incominciano a correre, il giocatore che si trova al centro deve cercare di raggiungere i giocatori che corrono. Il primo giocatore che viene preso deve andare al centro e cercare di prendere gli altri.

U cucuzzaru (Pianta della zucca)

 

I partecipanti si dispongono a cerchio.  Uno dei partecipanti viene nominato “cucuzzaru”, mentre tutti gli altri rappresentano le “cucuzze” e ad ognuno di loro viene assegnato un numero. Il “cucuzzaru” incomincia il gioco recitando una filastrocca e alla fine pronuncia un numero. Il concorrente che è stato chiamato dovrà velocemente rispondere e chiamare un altro numero. Chi distrattamente non si accorge di essere stato chiamato paga pegno.

U carru (Il carretto)

 

Chi ha avuto la fortuna di avere dei cuscinetti a sfera (per l’esattezza 3) ed un papà disponibile aveva costruito il suo " carru armatu ". Fatto con una tavola di circa 70 cm. di lunghezza e 30 cm. di larghezza, un asse posteriore di legno dello spessore del cuscinetto a sfera, un buco centrale nella parte anteriore attraverso il quale con una forcella di legno ed un’asse trasversale, lo sterzo, era collegata a alla ruota anteriore. Era una specie di Skate board a tre ruote, ma non si andava in piedi, ma bensì sdraiati sulla pancia e giù per le discese, oppure si andava tutti in piazza davanti alla chiesa, allora l’unico spazio

U Castedhu (I nucidi)

 

Questo era un gioco che, fatto sempre con le noccioline, era praticamente rivolto solo ai ragazzi. Consisteva, dopo aver costruito i castelli mettendo sopra tre noccioline utilizzate come base una quarta, nel riuscire a buttare giù più castelli attraverso una ulteriore nocciolina chiamata "u badhu". Anche in questo gioco si faceva la conta per stabilire chi doveva essere il primo a tirare dalla base stabilita (u peda) e si proseguiva poi a turno tra i diversi giocatori fino a che tutti i "castedha " erano stati buttati giù. Ovviamente le noccioline dei castelli tirati giù erano vinte. Sopra "u badhu"  si concentravano le attenzioni di tutti i ragazzi. Attenzioni che tendevano non solo a sceglierne una molto grossa, ma anche di cercare di renderla più pesante e più in grado di riuscire a vincere le resistenze, per buttare giù più castelli possibili. Per fare ciò si bucava con la punta di un coltellino la nocciola più grossa, e dopo averla svuotata dal frutto, si fondeva del piombo in un vecchio cucchiaio  e lo si versava dentro. Il tutto veniva chiuso con della cera e mascherato bene con del fango. Anche in questo gioco si determinavano situazioni in cui tutti volevano avere ragione, e tutti litigavano con tutti, finchè qualcuno non diceva "varamuni" a quel punto tutti cercavano di arraffare il maggior numero di noccioline.

A fossedha (La buca)

 

Questo gioco che facevano prevalentemente le ragazze si svolgeva nel periodo natalizio utilizzando delle noccioline e una buca (a fossedha). Il gioco, dopo aver fatto la conta (U tuoccu ) per stabilire chi doveva cominciare, consisteva nel lanciare dalla base che si era deciso (u peda) verso la buca le noccioline che tutte le giocatrici avevano messo in palio nel numero che si era stabilito. Si continuava tentando di mandare una nocciolina per volta, tirata con il dito indice piegato, nella buca,ogni nocciolina nella buca era una nocciolina vinta. Se una giocatrice non riusciva a fare centro continuava l'altra e così via fino alla fine delle noccioline lanciate. Le ragazze tenevano le noccioline in una calza che spesso nei momenti di "discussione" finiva sulla testa dell'avversaria.

I cciappi (Le piastrelle)

 

Con i doppioni delle figurine calciatori (litrattini), spesso merce di scambio con gli altri collezionisti, si giocava e "cciappi", sempre gioco di terra. Utilizzando una pietra piatta ("u re") e di piccolo spessore delle dimensioni di 4x5 cm. appoggiata a terra sul lato più lungo, si ponevano dietro le figurine messe l’una sull’altra e da una certa distanza si lanciavano contro il re delle pietre piatte, meglio se pezzi mattonelle in disuso, fortunato chi riusciva a trovarle, facendole atterrare in prossimità del re che percorrendo l’ultimo tratto scivolando sulla terra andavano a sbattere contro facendolo cadere in modo da sparpagliare sul terreno le figurine di cui era la protezione. Le figurine che si trovavano più vicine alla cciappa lanciata e più lontane dal re divenivano di proprietà. Il turno di lancio era determinato dal toccu. Con il passare degli anni le figurine vennero sostituite dalle monetine da cinque e dieci lire e si diventava ricchi quando magari si raggiungeva il gruzzolo cospicuo di cento lire. Il tintinnio ovattato (perché sporche di fango) di queste nelle nostre tasche era, come per i bottoni, segno di ricchezza e di rispetto dei nostri coetanei meno fortunati.

Palla prigioniera

 

Mediante una conta si formano due squadre che si dovranno disporre una di qua e una di là di una linea tracciata per terra. Si stabilisce quale delle due squadre dovrà lanciare per prima la palla all'altra. Il ragazzo incaricato del primo tiro dovrà tirarla in modo che gli avversari sia difficile prenderla al volo. Se questi riusciranno a prenderla, egli diventerà loro prigioniero. Dovrà cambiare campo posizionandosi dietro i giocatori della squadra avversaria in attesa di essere liberato. Toccherà poi all'altra squadra lanciare la palla e così via, una volta per ciascuno. Scopo principale del gioco è quello di non far prendere la palla agli avversari. Il prigioniero che rimane dietro i giocatori avversari dovrà fare di tutto per riuscire a prendere la palla tiratagli dai compagni. Se riesce a fare questo diventerà immediatamente libero e potrà quindi tornare nella propria area di gioco. Vince la squadra che farà prigionieri tutti i giocatori dell'altra squadra. Si può anche stabilire all'inizio un tempo massimo di gioco (20-30 minuti), scaduto il quale vince chi avrà fatto più prigionieri.

Palla battimuro

 

Il gioco è molto semplice e consiste nel tirare una palla contro un muro per poi riprenderla senza farla cadere. Le regole che governano il gioco sono dettate dalle stesse filastrocche che vengono recitate dalle bambine mentre eseguono i palleggi prescritti. E' un gioco di abilità individuale che diverte tutti. Mediante la conta si stabilisce l'ordine in cui i bambini (in genere bambine) dovranno iniziare la gara dei palleggi. L'unico errore che si può commettere è quello di far cadere la palla. In questo caso la penalizzazione consiste nel perdere il possesso della palla cheviene passata alla bambina che segue nell'ordine della conta. Quando toccherà di nuovo a lei, riprenderà il gioco dal punto della sequenza in cui le è caduta la palla. Le filastrocche e le prove di abilità variano da località a località, alcune inventate al momento dai bambini più fantasiosi, altre invece più tradizionali. Tutte però sono basate più o meno dai seguenti esercizi, e soltanto una giocatrice molto abile riuscirà ad eseguire tutta la sequenza senza sbagliare:

- lancio della palla contro il muro
- lancio della palla per aria
- lancio della palla contro il muro battendo contemporaneamente le mani
- lancio della palla contro il muro portando le mani dietro la schiena
- lancio della palla contro il muro toccando il terreno con una mano
- lancio della palla contro il muro girando su se stessa
- lancio della palla contro il muro eseguendo un salto
- lancio della palla contro il muro toccandosi la fronte
- lancio della palla contro il muro toccandosi il cuore
- lancio della palla contro il muro toccandosi le ginocchia
- lancio della palla contro il muro toccandosi i piedi

 

Finita la sequenza, gli esercizi vanno ripetuti di nuovo:

- riprendendo la palla con una mano sola (prima con la destra, poi con la sinistra)
- rimanendo su un piede solo (prima sul destro, poi sul sinistro)
- girando le spalle al muro.

La filastrocca che viene recitata in genere non è altro che una dichiarazione ad alta voce degli esercizi che la giocatrice sta eseguendo.
Vince chi per prima riesce ad eseguirli tutti. L'ultima farà una penitenza.

Tiro alla fune

 

Si prende una robusta corda e si formano due squadre. Un fazzoletto viene annodato a metà corda e si traccia in terra una linea che dovrà dividere i due campi.All'inizio della gara il fazzoletto dovrà pendere sopra la linea tracciata e servirà, oltre che a dividere la corda, da punto di riferimento. Al via le squadre tireranno la fune con tutta la forza in loro possesso cercando di far oltrepassare agli avversari la linea tracciata, trascinandoli dentro la propria area. Quando almeno uno dei contendenti avrà passata la linea di divisione, la sua squadra avrà perso. Sono esclusi gli strattoni improvvisi.

Regolamento Tecnico:

- Le squadre devono essere composte da un ugual numero di concorrenti;
- Lo spazio di corda per ogni concorrente deve essere di m. 1,22;
- La corda deve avere m. 3,66 liberi ad ogni estremità e deve essere grossa non meno di 10 cm. di circonferenza senza nodi od altri appigli per le mani;
- L'uomo d'ancora non può attorcigliare la corda attorno al corpo o mettere volontariamente una mano per terra;
- I concorrenti devono portare scarpe con tacco e suola perfettamente lisci, senza attaccature;
- Non si possono indossare guanti ne spalmarsi le mani con sostanze adesive;
- Sul terreno di gara, oltre alla linea di centro, vanno tracciate, da una parte e dall'altra, due linee alla distanza dal centro di 1,83, corrispondenti ad altrettante legature visibili sulla corda;
- Quando una squadra riuscirà a tirare e trascinare la legatura della squadra avversaria sopra la sua linea di fondo, avrà vinto. Avrà vinto anche nel caso che un piede o parte di esso, di un componente la squadra avversaria oltrepassi la linea di centro.

Ruba bandiera

 

Scopo del gioco è quello di impadronirsi della bandiera degli avversari. Si formano due squadre e si stabiliscono i limiti dei due campi. Al centro di ciascun campo dovrà essere collocata una bandiera. Le squadre si schierano frontalmente davanti alla propria bandiera. Al via ogni giocatore dovrà sia difendere la propria bandiera sia tentare di impadronirsi della bandiera avversaria. Chi viene toccato da un avversario diventa suo prigioniero. Deve rimanere fermo in attesa che un compagno di squadra lo liberi. Vince la squadra che riuscirà a impadronirsi della bandiera avversaria e a portarla fuori del rettangolo di gioco, oppure la squadra che riuscirà ad immobilizzare tutti gli avversari eccetto uno.

Quattro cantoni

 

Non c'è limite al numero di giocatori, basta aumentare il numero di cantoni all'aumentare del numero dei giocatori. Per i quattro cantoni si gioca in 5. Si scelgono i quattro cantoni, che possono essere i quattro angoli di una stanza o di un cortile, quattro sassi, quattro alberi o altro. Con una conta si stabilisce chi rimane in mezzo. Gli altri vanno ad occupare i cantoni stabiliti, e dovranno continuamente e velocemente scambiarsi il posto senza farsi soffiare il cantone da chi sta in mezzo. Se quest'ultimo riesce a soffiare il cantone ad un proprietario, ne diviene lui il proprietario, mentre l'altro si mette in mezzo e cercherà di fare lo stesso con chi si trova nei cantoni. Questo gioco, anche se molto semplice, se giocato bene e con ragazzi astuti, agili e veloci diverte moltissimo.

I Petruji (Le cinque pietre)

 

Si prendevano cinque pietre, quattro si lasciavano per terra e l’altra si teneva in mano.

Si lanciava la pietra in aria, subito se ne raccoglie un’altra da terra cercando di acchiappare quella lanciata in aria senza farla cadere.

Se ne lanciano due, se ne prende un’altra da terra e bisogna acchiappare quelle lanciate.

Se ne lanciano tre, si raccoglie un’altra pietra dal suolo e si devono prendere quelle lanciate in aria.

Si lanciano quattro pietre, se ne raccoglie un’altra da terra e si acchiappano quelle al volo.

Vince chi riesce a prendere senza far cadere le cinque pietre.

U ciucciu (Il somaro)

 

Per prepararsi al gioco occorre che il mazziere metta da parte una carta (in questo caso un cavallo).

Poi, dopo aver nascosto la carta distribuisce le restanti carte del mazzo a tutti i giocatori, dandone una ciascuno per volta e facendo il giro.

Può capitare che un giocatore riceva una carta in meno degli altri per via della carta nascosta ma questo non va ad influire sul gioco.

Poi si inizia a giocare.
I giocatori inizieranno a scartare tutte le coppie di carte che hanno in mano, per esempio due 2, due 5 e così via.

Si scartano queste coppie di carte mettendole in mezzo al tavolo.
Ognuno dopo questo passo resterà con un certo numero di carte in mano.

Il giocatore che ha più carte inizia quindi a giocare, pesca quindi una carta a caso, senza vederla, tra le carte del giocatore alla sua sinistra.

Se la carta che pesca forma una coppia con una carta che ha in mano il giocatore scarterà la coppia, altrimenti si tiene in mano la carta in più.

Il gioco viene proseguito dal giocatore alla sua destra che prenderà una carta da quello alla sua sinistra e così via.
Si continua a pescare e a scartare le coppie che si formano.

Alla fine del gioco, facendo girare in questo modo le carte si formeranno tutte le coppie e resterà solo una carta spaiata.

Questa carta sarà appunto la carta che fa coppia con la carta nascosta all’inizio dal mazziere, e chi la tiene in mano sarà dichiarato “ciuccio” o “somaro”.

Il giocatore che finisce con questa carta in mano sarà preso in giro con allegria da tutti gli altri e sarà l’asino di quel turno.

Ci sono però alcune tecniche di questo gioco che fa capire che alla fine non è soltanto fortuna quella che fa vincere o perdere.

Bisogna innanzitutto cercare di capire l’asino, e solo con furbizia ci si riesce.

Si potrebbe, una volta individuato l’asino, e sapendo che è in mano nostra, nasconderlo bene in mezzo alle altre carte, in modo centrale.

Magari si può mettere in una posizione impercettibilmente rialzata di modo che risulti la carta più facile da prendere tra tutte le altre

Potete anche bluffare: cercate di fare una faccia allegrissima se il giocatore che sta per pescare da voi si avvicina ad una carta che non è l’asino

E fate una faccia triste nel caso stia per pescare l’asino in modo da fargli credere che stia per togliervi una carta che vi serve.